lunedì 19 novembre 2012

GRAVE LUTTO NELLA CHIESA CATTOLICA: È DECEDUTO IL SAC. DOTT. LUIGI VILLA. ECCO IL SUO ULTIMO "SCRITTO TESTAMENTO"

 

 

I funerali si terranno domani 20 novembre 2012, ore 15:30, presso Chiesa S.M. Crocifissa di Rosa, Via Crocifissa di Rosa

 

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Lutto nel mondo della chiesa di cristo. È deceduto il sac. Dott. Luigi villa. Ecco il suo ultimo "scritto testamento"

 

 E' deceduto uno degli ultimi teologi della Chiesa fondata da Cristo, si tratta del Sacerdote Dottore Luigi Villa, già Agente segreto vaticano nominato da Papa Pio XII su richiesta di San Padre Pio da Pietrelcina. Autore di decine di libri inchiesta, don Villa porta con sé numerosi segreti che saranno rivelati al momento opportuno. I funerali si terranno domani 20 novembre 2012, ore 15:30, presso Chiesa S.M. Crocifissa di Rosa, Via Crocifissa di Rosa, Brescia. In questo lungo editoriale è nostra intenzione ricordare la figura di Mons. Villa parlando della sua vita, riportando il suo ultimo "scritto testamento" e ricordando tutti i libri che ha scritto in difesa della Chiesa di Cristo. Nessun teologo - vescovo attuale ha mai confutato gli scritti di don Villa citando dottrina e Magistero, tuttavia in molti hanno preferito contestare i suoi testi esclusivamente con insulti e linguaggio da trivio. L'opera di don Villa proseguirà mediante il mensile Chiesa Viva ed altre attività ...

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Carlo Di Pietro


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 CHI ERA DON LUIGI VILLA

Su richiesta di molte persone dall’Italia e dall’estero, e dopo più di vent’anni di collaborazione con questo coraggioso Sacerdote, ho deciso di scrivere questa breve biografia di don Luigi Villa, perché ritengo non sia più possibile tacere sulla indescrivibile e interminabile persecuzione subìta da questo anziano, fedele e incorruttibile Ministro di Dio! - Nato a Lecco, il 3 febbraio 1918, Luigi Villa, dopo aver compiuto i suoi studi ginnasiali, liceali e teologici, fu ordinato Sacerdote, il 28 giugno 1942. Celebrò la sua prima Messa nella cattedrale di Lecco, suo paese d’origine ed esercitò il suo ministero sacerdotale nell’Istituto Comboniano, per circa una decina d’anni. Don Villa era un vero cacciatore di vocazioni ed uno stimato predicatore e conferenziere ed i suoi interventi erano apprezzati e richiesti in molte città e luoghi d’Italia. Inoltre, egli si dedicava in modo particolare alla formazione dei giovani. Fu proprio questo suo legame con i giovani e la sua influenza che egli esercitava su di essi che gli procurò una condanna a morte. Infatti, il Gerarca fascista Ministro della Giustizia, Roberto Farinacci, emise una condanna a morte nei suoi confronti. La motivazione era la seguente: «Padre Luigi Villa non si sa chi sia; pare mandato in giro a sobillare i giovani contro la Repubblica». L’esecuzione della fucilazione non ebbe luogo grazie ad una “soffiata” fatta da un ufficiale del Ministero di Giustizia che, segretamente e tempestivamente, preavvisò un confratello di don Villa, Padre Ceccarini - che viveva presso l’Istituto Comboniano di Crema con don Luigi - perché fuggisse.
Così, don Villa scavalcò una finestra e fuggì,

  proprio mentre stava arrivando una jeep con sei soldati armati del plotone di esecuzione.
Questa condanna pesò su don Villa per tutta la durata della Repubblica di Salò; intorno a lui, vi fu sempre un’atmosfera di provvisorietà ed una minaccia permanente che, solo con la fine della guerra, il 25 luglio 1945, segnò la sua liberazione da quell’incubo!
Durante la guerra, don Villa si prodigò anche per salvare intere famiglie di ebrei. Infatti, in obbedienza alle disposizioni di Pio XII, don Luigi mise in salvo 57 ebrei, in tre viaggi sui monti al confine tra Italia e Svizzera, rischiando la sua vita ad ogni viaggio.
Agli inizi del 1953, per problemi familiari, egli uscì dall’Istituto comboniano e, su invito dell’arcivescovo di Ferrara, mons. Ruggero Bovelli, si incardinò in quella diocesi, per fondare un Movimento Missionario Internazionale.
Incontri con Padre Pio
In quegli anni, don Villa continuò la sua attività di predicatore e conferenziere.
Nel 1956, tenne una serie di conferenze ai laureati di Bari, dove, dopo un pranzo a base di pesce, ebbe un’intossicazione a causa delle vongole nella pasta-asciutta.
Informato il suo amico don Berni, che era cappellano militare all’aeroporto di Bari, don Villa fu prelevato da alcuni avieri, che lo portarono nel reparto infermeria dell’aeroporto, dove fu curato dal Colonnello medico, rimanendovi fino a guarigione.
Prima di lasciare Bari, don Berni volle che don Luigi lo accompagnasse a San Giovanni Rotondo. Arrivati sul posto, don Berni gli chiese di aspettarlo, mentre andava all’albergo “Santa Maria”, per prenotare il pranzo. Don Villa, allora, andò a pregare nella chiesetta del Convento.
La chiesa era vuota e lui si inginocchiò in uno dei banchi. Ad un tratto, percepì una presenza e si girò; al suo fianco, vi era un uomo giovanile, straordinariamente bello, che gli chiese: «Lei vuole incontrare Padre Pio?».
«No!», rispose don Villa, ma l’altro insistette: «Vada, vada pure, Padre Pio la sta aspettando!».
Don Villa si rivolse verso la persona che gli aveva appena parlato, ma, al suo fianco, non vi era più nessuno. La persona che aveva pronunciato quelle parole era scomparsa!
Allora, entrò nel convento e salì fino al luogo della cella di Padre Pio; sentì un profumo intenso di fiori e lo comunicò ad un frate che stava passando, il quale disse: «Buon segno, buon segno!», dicendogli, poi, che Padre Pio sarebbe presto tornato in cella.
Durante l’attesa, don Villa scrisse su un suo taccuino 12 domande che intendeva porre al frate. Dopo poco, egli vide aprirsi la porta che era in fondo alla scala della sacrestia. Appena entrato, Padre Pio lo guardò (era in fondo allo stretto corridoio, ad una ventina di metri) e disse: «Che fa, qui, padre Villa?», poi, si incamminò fino alla sua stanzetta, N° 5, dove entrò con i due medici che l’avevano seguito. Ma dopo pochi minuti, usciti i medici, Padre Pio chiamò don Luigi e lo fece entrare nella sua cella. Qui, rispose alle sue 12 domande e gli parlò per oltre una mezz’ora, dandogli un incarico: dedicare tutta la sua vita per difendere Chiesa di Cristo dall’opera della Massoneria, soprattutto quella ecclesiastica.
Don Villa rimase perplesso, e disse: «Ma io non sono preparato per un tale impegno; inoltre dovrei essere protetto da un Vescovo. Padre Pio lo interruppe e gli disse: «Va dal Vescovo di Chieti e Lui ti dirà il da farsi».
Due giorni dopo, don Villa partì da Bari e si recò da mons. Giambattista Bosio. Il Vescovo gli chiese: «Perché sei qui?». Don Luigi rispose: «Perché Padre Pio mi ha detto di venire da Lei» e gli chiarì i motivi.
Alla fine, mons. Bosio gli disse: «Questo è impossibile, perché un Vescovo ha autorità solo nella sua diocesi, e il tuo programma è ben più ampio! Comunque, poiché questo te lo ha detto Padre Pio, che io non ho mai né visto né conosciuto, io andrò a Roma per una chiarificazione».
Infatti, Mons. Bosio si recò dal Segretario di Stato, il cardinale Domenico Tardini per parlargli dell’incarico che don Villa aveva ricevuto da Padre Pio. Il Cardinale si dimostrò subito contrario, dicendo che un tale compito era riservato solo ai vertici della Chiesa, e non a un semplice sacerdote. Tuttavia, per aver udito che tale progetto partiva da Padre Pio, disse che ne avrebbe parlato al Santo Padre. E così fece.
Quando mons. Bosio tornò dal cardinale Tardini, questi gli riferì che Pio XII aveva approvato l’incarico affidato da Padre Pio a don Villa, ponendo, però, due condizioni: don Luigi doveva laurearsi in teologia dogmatica; inoltre, doveva essere affidato alla direzione del card. Alfredo Ottaviani, Prefetto del Sant’Ufficio, del card. Pietro Parente e del card. Pietro Palazzini.
Questi Cardinali dovevano guidarlo e metterlo al corrente di tanti segreti della Chiesa, pertinenti a questo suo mandato papale.
Mons. Bosio trasmise a don Villa le “condizioni” di Pio XII, ma, da parte sua, ne aggiunse un’altra: «Io accetto l’incarico di essere il tuo Vescovo, ma ti dico: non avere mai nulla a che fare con Montini!»!
Colpito dalla durezza di queste parole, don Villa chiese: «Ma chi è Montini?».
Mons. Bosio rispose: «Ti faccio un esempio: io sono da questa parte del tavolo e tu dall’altra. Da questa parte, c’è mons. Giambattista Montini; dall’altra parte, il resto dell’umanità!».
Da notare che le famiglie Montini e Bosio erano entrambe residenti a Concesio (vicino a Brescia). Quindi, la famiglia Bosio conosceva bene Montini!
Dopo questo, mons. Bosio, con decreto del 6 maggio 1957, segretamente incardinò don Villa, nella diocesi di Chieti.
Don Luigi, allora, si iscrisse all’Università di Friburgo (CH) dove si “licenziò” in Sacra Teologia, nel luglio del 1963, laureandosi, poi, all’Università Lateranense, a Roma, il 28 aprile 1971.
Nella seconda metà del 1963, don Villa ebbe il secondo incontro con Padre Pio.
Non appena lo vide, Padre Pio gli disse: «È un bel po’ di tempo che ti stavo aspettando!», e si lamentò della lentezza con la quale don Luigi procedeva nell’incarico affidatogli.
Alla fine dell’incontro, Padre Pio abbracciò don Villa e gli disse: «Coraggio, coraggio, coraggio! perché la Chiesa è già invasa dalla Massoneria» aggiungendo: «La Massoneria è già arrivata alle pantofole del Papa». (Paolo VI!)
Agente segreto
In tutti quegli anni, don Villa, lavorò come agente segreto del card. Ottaviani, con la specialità di documentare l’appartenenza alla Massoneria di alti Prelati della Chiesa cattolica e di occuparsi di certe questioni delicate della Chiesa.
Questo ruolo fece di don Villa una persona di casa e molto conosciuta in Uffici di Polizia, di Questura e di altre Agenzie di Investigazioni Generali e Operazioni Speciali.
Quando, nel settembre 1978, durante il breve pontificato di Papa Luciani, la “Lista Pecorelli” apparve su “OP” (Osservatore Politico), la Rivista dell’avvocato Mino Pecorelli, non fu certo una grande meraviglia per don Villa leggervi molti nomi di quegli alti Prelati che lui stesso aveva già fatto allontanare dalle loro sedi, tanto tempo prima, per aver fornito al Sant’Uffizio i documenti della loro appartenenza alla Massoneria.
Uno dei casi più illustri fu quello del card. Joseph Suenens, cacciato dalla sua sede di Bruxelles perché massone, convivente e con un figlio di nome Paolo!
Un altro caso “doloroso”, fu quello del card. Achille Lienart. A Parigi, mentre attendeva, nei pressi di una Loggia massonica, l’uomo che gli doveva confermare l’esistenza di documenti che attestavano l’appartenenza alla Massoneria del card. Lienart, don Villa, d’improvviso, vide corrergli incontro un giovane che, aggreditolo, gli sferrò un pugno “ferrato” in pieno volto, gridando: «Esiste un Diavolo su questa terra!».
Don Villa rinvenne in una farmacia, con la bocca piena di sangue, la mandibola spezzata, e senza più un dente in bocca.
Anche ad Haiti, un giorno, egli rischiò la vita. Recatosi in quel paese per una missione, fu preso dai militari, e portato in un luogo, per la fucilazione. Ma don Villa ebbe un’ispirazione: chiese all’ufficiale che lo custodiva di poter parlare con un suo carissimo amico, il Superiore del Seminario locale. L’ufficiale, turbato da quella richiesta, si recò dai suoi superiori e tornò subito, dicendogli: «Ci siamo sbagliati», e lo liberò.
Tra le questioni delicate affidategli dal cardinale Ottaviani, vi fu quella dell’incontro con Lucia di Fatima. Un giorno il cardinale Ottaviani disse a don Villa: «Ho pensato di mandarti a Fatima per parlare direttamente con Suor Lucia».
Egli accettò con gioia. Lo accompagnò un industriale padovano, il Sig. Pagnossin, un convertito da Padre Pio, che gli offrì il viaggio e la permanenza in Portogallo. Il Cardinale Ottaviani lo aveva munito di una sua lettera personale e firmata da lui, come Prefetto del Sant’Uffizio, da consegnare al Vescovo di Coimbra, perché gli concedesse l’incontro con Suor Lucia. Ma il Vescovo di Coimbra, prima di concedere l’incontro con la Veggente, prese il telefono e chiamò in Vaticano. Gli rispose Mons. Giovanni Benelli, il quale, prima di dare una risposta, volle sentire Paolo VI, perché Roma aveva dato ordini precisi: il “colloquio” con Lucia era consentito solo ai Reali e ai Cardinali.
Mons. Benelli trasmise al Vescovo di Coimbra il divieto di Paolo VI alla richiesta di colloquio con Suor Lucia. Inutile, quindi, fu l’insistenza di don Villa, nell’evidenziare il suo ruolo di inviato del Prefetto del Sant’Uffizio. Comunque, egli rimase in Portogallo, cercando di vincere la resistenza del Vescovo. Dopo una decina di giorni, però, si dovette rassegnare alla sconfitta. Ottenne dal Vescovo solo di poter celebrare nella Cappella del Convento di clausura.
Al rientro in Italia, don Luigi andò subito a riferire l’accaduto al cardinale Ottaviani. Il Cardinale si sentì offeso dal comportamento di Paolo VI, al quale scrisse subito una lettera di protesta. Tornato in seguito a Roma, il card. Ottaviani gli disse che Paolo VI gli aveva fatto le scuse, dicendo, però, che la decisione era stata presa da mons. Benelli. Ma il Cardinale sottolineò che quello era il solito metodo del doppio gioco di Paolo VI.
Fintanto che visse Pio XII, il Vaticano, per don Villa era un ambiente più che accogliente: oltre agli incontri inerenti alla sua attività di agente segreto, don Villa pranzò e cenò almeno una cinquantina di volte con Cardinali e Vescovi. Ma quando giunse al potere Paolo VI, egli si vide preclusa ogni ospitalità ed ogni possibilità di avviare iniziative per la difesa della Fede Cattolica.
I fallimenti premeditati
Molte furono le iniziative e le opere che don Villa cercò di far nascere, ma che, anche sotto il pontificato di Pio XII, gli furono fatte fallire.
Già nel 1953, appena incardinato nella diocesi di Ferrara, don Luigi pianificò la fondazione di un grande Movimento missionario formato prevalentemente da tecnici, col titolo I.M.I. (Istituto Missionario Internazionale); ma lo fermarono subito.
Il 21 aprile 1957, don Villa fondò il Movimento “Euro-Afro-Asiatico”, legato ad una sua Rivista che portava lo stesso titolo, e di cui aveva già avuto regolare autorizzazione dal suo Vescovo, Sua Ecc.za mons. Giambattista Bosio. Ma il Movimento ebbe anch’esso vita breve, perché glielo chiusero.
Gli fecero chiudere, subito dopo la prima edizione, anche un’altra sua Rivista: “Colloquio Oriente-Occidente”, che sarebbe stata alimentata da un altro suo Istituto per le “religioni non cristiane”.
Ancora: gli impedirono di fondare un “Centro di teologi” per combattere il rinascente Modernismo e il progressismo nella Chiesa. L’ordine venne direttamente da Sua Ecc.za mons. Giovanni Benelli, Pro-segretario di Stato di Paolo VI.
In quello stesso periodo, sempre il solito massone Pro-segretario di Stato, mons. Giovanni Benelli, gli impedì di continuare una serie di “Congressi di studio” permanenti.
Don Villa riuscì a dar corpo solo ai primi tre:
1. Il Primo Congresso di Roma, dal titolo: “Ortodossia e ortoprassi” (1-4 ott. 1974);
2. Il Congresso di Firenze, dal titolo: “La donna alla luce della teologia cattolica” (16-18 sett. 1975);
3. Il Secondo Congresso di Roma, dal titolo: “Cristianesimo e comunismo ateo” (20-22 sett. 1977).
Mentre nei due Congressi di Roma, la presenza di Cardinali impedì a mons. Benelli un suo intervento diretto, per  il Congresso di Firenze, l’Arcivescovo di Firenze, card. Florit, ebbe l’ordine da Roma di proibire la partecipazione al Congresso a tutto il clero fiorentino. Il Cardinale, spiacente di quel comando, lo comunicò subito a don Villa e gli promise di mandargli un Vescovo a presiedere per tutta la durata del Convegno. E così avvenne!
Altre iniziative che gli furono fatte fallire, furono: la fondazione di un “terzo ramo” di Religiose-laiche, da affiancare ai vari Istituti missionari, e l’iniziativa di “reclutamento” di “vocazioni” per il Sacerdozio; iniziativa che fu poi imitata da tutti i Seminari e dagli Istituti missionari, ma il suo progetto iniziale di formazione spirituale fu sviato e finì col secolarizzarsi.
Personalmente, don Villa fece entrare nei Seminari missionari circa una cinquantina di ragazzi che, oggi, sono preti.
Ormai, era evidente che non gli era più permesso muovere alcun passo, realizzare alcuna idea, né iniziare alcun progetto che fosse per la difesa della Fede cattolica.
Per questo, don Villa dovette rifiutarsi di accettare anche le offerte di amici e... nemici.
Egli rifiutò, infatti, parecchie “donazioni” di ville e di enormi somme di denaro. Persino un Cardinale gli volle regalare tutta la sua proprietà: due ampie scuole elementari e medie, già in funzione, e due ville con 60 ettari di oliveto e una chiesa.
Anche il cardinale Giuseppe Siri gli offrì il Convento dei Benedettini a Genova. Ma don Villa rinunciò a tutto, sempre, perché aveva già previsto la bufera che si stava abbattendo sulla Chiesa, e perciò preferiva restare povero, per non trovarsi legato e coinvolto in questioni economico-finanziarie, ma soprattutto, per rimanere libero di occuparsi del mandato che aveva ricevuto da Padre Pio e da Pio XII di aiutare la Chiesa a guarire dalla nebulosa situazione in cui si sarebbe trovata sotto gli attacchi della massoneria ecclesiastica!
Per questa ragione, disse “no” anche a due ricchissimi americani che gli offrirono miliardi se avesse ceduto loro la sua Rivista “Chiesa viva”.
Egli ebbe anche la strana “offerta” miliardaria di un avvocato americano che gli disse di essere disposto a pagargli ogni Movimento che egli avrebbe potuto fondare per annientare la Chiesa Tradizionale e per fondarne una “nuova” da far trionfare.
Don Villa fu sempre attivo anche nella sua opera sacerdotale di salvare le anime. Un caso singolare avvenne nel 1957, quando ebbe un incontro con il grande scrittore italiano Curzio Malaparte. Prima associato al fascismo e poi, verso la fine della sua vita, al comunismo, Malaparte giaceva in una clinica di Roma con il cancro.
La sua stanza era sorvegliata dal famoso picchiatore comunista Secchia, per impedire il passaggio a chiunque non fosse di sinistra. Egli cercò d’impedire anche l’ingresso di don Villa, ma non vi riuscì. Malaparte gli sorrise e gli disse: «Lei è un carattere. Dovrà lottare!». Un’altra volta che andò a trovarlo, don Villa gli parlò del suo progetto di fondare una nuova Opera, e tanto fu l’entusiasmo di Malaparte che gli promise che, se fosse guarito, egli avrebbe messo la sua penna al suo servizio. L’ultima volta che lo vide, Malaparte disse a don Villa che, dopo aver riflettuto molto, aveva deciso di regalargli la sua villa di Capri, come prima sede dell’Opera che voleva fondare. Ma non se ne fece nulla perché, pochi giorni dopo, la stanza di Malaparte fu blindata dal comunista Secchia e da vari comunisti della direzione del periodico “Vie Nuove”, che riuscirono, poi, a farsi donare la villa. (Il come avvenne, don Villa non lo seppe mai!).
Don Villa a Brescia
Fu la situazione grave in cui si trovavano i Genitori, che spinse don Villa ad accettare dall’arcivescovo di Chieti, mons. Giambattista Bosio, l’incardinazione nella sua diocesi, come era stato suggerito dal Segretario di Stato, cardinale Tardini. Ma fu una incardinazione segretissima, fatta nello studio del Vescovo, e, come testimone, solo il suo Segretario, mons. Antonio Stoppani. Ma mons. Bosio, per consentire a don Villa di aiutare i Genitori, avuto il beneplacito da Roma, trasferì don Villa nella diocesi di Brescia, con l’approvazione del Vescovo locale.
Il 15 settembre 1962, don Villa aprì una “Casa di formazione”, a Codolazza di Concesio – Brescia, intitolata “Villa Immacolata”, per erigere l’Istituto “Operaie di Maria Immacolata” nato con la paternità di Mons. Bosio.
Nel 1964, l’anziano Vescovo di Brescia, mons. Giacinto Tredici, morì e fu sostituito dal montiniano mons. Luigi Morstabilini.
Il 12 dicembre 1964, mons. Morstabilini promise a mons. Bosio di concedere, in breve tempo, il Decreto di approvazione dell’Istituto; la stessa promessa la fece a don Villa, tre giorni dopo; in gennaio 1965 vi fu il trasferimento dei documenti; il 2 febbraio furono accettate da don Villa alcune condizioni restrittive sulle vocazioni estere; il 4 febbraio, mons. Morstabilini assicurò mons. Bosio che il documento di approvazione era “sicuro”; il 7 febbraio mons. Morstabilini, in visita alla parrocchia in cui risiedeva l’Istituto di don Villa gli evitò l’onore di una sua visita; il 18 maggio, mons. Bosio, dopo un colloquio con mons. Morstabilini assicurò don Villa che il Decreto di approvazione era ormai prossimo al rilascio.
Ma il 1° luglio 1965, don Villa ricevette dalla Curia di Brescia una lettera del delegato vescovile che lo informava del parere sfavorevole della Commissione a riguardo dell’approvazione dell’Istituto.
Di fronte a tanta ostilità e doppiezza, don Villa comunicò a mons. Bosio la sua intenzione di incardinarsi in un’altra diocesi. Il suo Vescovo dispiaciuto, gli rispose: «No, non farlo, per me!».
Ma questa doppiezza nel modo di agire, obbligò il così paziente e buono mons. Bosio ad AGIRE!
«Adesso basta – disse a don Villa – in fin dei conti il tuo Vescovo sono Io. Se non comprendono la mia delicatezza e carità, andrò a Roma, e ti scriverò».
Il 4 dicembre 1965, mons. Bosio scriveva a don Villa: «Carissimo Padre Villa, puoi dire alle tue figlie che l’Immacolata ha esaudito le nostre e le loro preghiere. Visto che a Brescia non si viene a capo di nulla, ho fatto visita al card. Pietro Palazzini…». La lettera terminava così: «.. non avendo qui, a Roma, i timbri della Curia, potrete ugualmente celebrare la “fondazione” il giorno dell’Immacolata. Il “Documento” ve lo manderò quanto prima».
L’8 dicembre 1965, Mons. Bosio inviò a don Villa il “Decreto” con cui si erigeva canonicamente il suo Istituto “Operaie di Maria Immacolata”.
Il 20 maggio 1967, la sede dell’Istituto fu trasferita in città, in via Galileo Galilei, 121, Brescia, dove risiede tuttora.
Mons. Giambattista Bosio, però, morì pochi giorni dopo, il 25 maggio 1967.
Don Villa non era a conoscenza di alcuna malattia o altro problema di salute che potesse far pensare ad una morte imminente del suo Vescovo. Solo poche settimane prima della morte, lo stesso mons. Bosio, gli aveva detto: «Quando andrò in pensione, vorrei venire a vivere con te, nel tuo Istituto». Le stesse Suore dell’Istituto erano elettrizzate al pensiero di avere con loro un personaggio così famoso e importante.
Quando Mons. Bosio morì, don Villa si trovava all’estero e, al suo ritorno, si recò immediatamente a Chieti per pregare sulla sua tomba.
Il nuovo Vescovo di Chieti, e quindi il diretto superiore di don Villa, fu mons. Loris Capovilla, ex uomo di fiducia del Vescovo di Padova, mons. Girolamo Bortignon, uno dei peggiori nemici di Padre Pio, ex segretario personale di Giovanni XXIII ed ex segretario personale di Paolo VI, dal 1963 al 1967.
Don Luigi si recò subito da Lui ed ebbe un colloquio in cui, il Vescovo, più che trattare la questione della sua incardinazione, per più di un’ora, cercò di convincerlo a non scrivere più articoli contro il comunismo, poiché – diceva – il comunismo sovietico vincerà e si dovrà venire a patti con Mosca!
Con la morte di mons. Bosio, don Villa si trovò stretto in una morsa: da una parte, l’ex segretario personale di Paolo VI, mons. Capovilla; dall’altra, il montiniano Vescovo di Brescia, mons. Morstabilini.
Mons. Capovilla chiedeva a don Villa di incardinarsi a Brescia, mentre mons. Morstabilini insisteva che don Villa rimanesse incardinato a Chieti e continuasse la sua opera a Brescia, riconfermandogli la sua fiducia, stima e benevolenza e consigliandogli di “far maturare i tempi”.
Il 4 febbraio 1968, don Villa, in una lettera al Vicario Generale di Brescia, mons. Pietro Gazzoli, lamentandosi della “poca intelligenza e onestà” e del modo doppio di agire di mons. Morstabilini, riportava due documenti che attestavano la sua mala fede:
1. una lettera di mons. Morstabilini a mons. Bosio (scritta dopo il Decreto di approvazione di Roma dell’8 dicembre 1965) in cui si scusava per non averlo dato lui tale “Decreto”, perché questa era la sua intenzione, e dove incolpava la Commissione di Curia di averglielo impedito.
2. un’altra lettera di mons. Morstabilini, ad un parroco bergamasco, in cui, invece, il Vescovo affermava esattamente il contrario; pur riconoscendo che don Villa aveva ricevuto un Decreto di approvazione del suo Istituto, disse, però, che, se fosse dipeso da lui, tale Decreto non gli sarebbe mai stato concesso.
Il 3 settembre 1968, don Villa ricevette un “ultimatum” dal Vicario Generale di Chieti, mons. F. Marinis, il quale gli intimava di farsi incardinare a Brescia, entro fine anno.
Il 15 dicembre 1968, don Villa scrisse una lettera al card. Pietro Palazzini per metterlo al corrente di tutte queste manovre che miravano a “scardinare” l’Istituto che aveva da poco fondato.
Questi sono solo i primi esempi del modo di agire dei “nemici” di don Villa: nemici che non l’hanno mai affrontato lealmente e in campo aperto, ma che hanno sempre agito alle spalle, con doppiezza, colpendolo con ogni mezzo, incluso, come vedremo, il tentativo di assassinio.
Inizio della “Via Crucis”
I tempi di buona accoglienza degli ambienti vaticani, dell’ultimo periodo di Pio XII, erano svaniti; ora, iniziavano quelli dell’isolamento e della persecuzione.
Il legame quasi di predilezione con Pio XII, bruscamente, si trasformò in quello iniziale della letale politica: «ignoratelo e fatelo ignorare»!
Ecco due fatti che illustrano questi due diversi atteggiamenti.
Un giorno, don Villa chiese e ottenne subito un’udienza col Santo Padre, l’Angelico Pio XII. Questa avvenne in una grandiosa sala, gremita di persone. Fatto chiamare don Villa, e trovatosi di fronte a lui, dopo un breve scambio di parole, Pio XII gli prese le mani nelle sue e lo abbracciò, davanti a tutti, come a significare la sua predilezione per questo Sacerdote al quale, in segreto, Egli aveva affidato un compito grave che mai fu affidato ad altro Sacerdote.
Come fu diverso, invece, anni dopo, l’incontro tra don Villa e Paolo VI.
Il 14 luglio 1971, una Religiosa del suo Istituto “Operaie di Maria Immacolata”, Suor Natalina Ghirardelli, fu ricevuta in “udienza privata” da Paolo VI, il quale voleva congratularsi con Lei, per il ritratto che la Suora-pittrice gli aveva fatto e che fu offerto al Papa, in occasione del 50° anniversario del Suo Sacerdozio (1970).
Don Villa accompagnò a Roma Suor Natalina come suo Padre Superiore.
All’entrata del salone dei ricevimenti, dove, in mezzo, sedeva il Papa, don Villa notò che Paolo VI guardò subito la sua Suora-pittrice con occhi quasi da innamorato, e continuò poi a rimirarla, stringendole e tenendole le mani per tutto il tempo dell’udienza. Don Villa, a fianco della Suora, non fu mai degnato di uno sguardo da parte di Paolo VI, neppure per un istante. Al gesto di don Villa di voler offrire al Papa alcuni suoi libri, Paolo VI, sempre senza guardarlo, fece un gesto con la mano sinistra al suo segretario mons. Pasquale Macchi, che si avvicinò e prese i libri, senza che il sacerdote potesse dire una sola parola.
Alla fine del colloquio, Paolo VI benedì la Suora e le consegnò una Corona del Rosario, mentre a don Villa diede il borsellino del Rosario, sempre senza guardarlo. E continuò ancora a non guardarlo neppure quando, insieme alla sua Suora, si avviò verso l’uscita.
In quell’occasione, don Luigi comprese che quel gesto inconcepibile di Paolo VI verso di lui, era come un segnale dell’inizio della sua “Via Crucis”. Come infatti avvenne!


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